Anche i genitori dicono NO, e in quantità, ma per loro non è per niente automatico trovare una chiave utile e positiva. C’è chi è stato educato all’obbedienza e punta dritto all’autorità. E c’è chi lascia fare ai figli tutto quello che vuole perché è troppo faticoso controllarli. Così si dice no secondo la giornata, l’umore e le circostanze.
Ma così non è educativo e neppure produttivo nel tempo. Bisogna crescere anche come genitori, esplorare il proprio modo di essere padre e madre per imparare a dire dei “no “ positivi, che siano d’esempio ai figli e li sostengano nello sforzo di diventare grandi. Non dite no tanto per fare e magari vi smentite il giorno dopo. Non dite “No e basta!”, oppure:” No, perché qui comando io “ ma argomentate il vostro divieto da una ragione che il bambino possa comprendere. Dite no, spiegate perché è meglio non fare quella cosa e comportatevi di conseguenza.
Se proibite la cioccolata, non divorare la scatola dei cioccolatini. Se stabilite un limite ai giochi rumorosi, è inutile parlare a voce alta. Se non ci si alza da tavola fino alla fine del pasto, non vale spostarsi in un'altra stanza perché arriva una telefonata. I bambini devono sentire che quei limiti appartengono a un codice familiare.
Coerenza educativa tra i membri della famiglia e l’esempio sono la carta vincente. Sono questi i no positivi che li fanno crescere. Certo loro provano a rompere le regole e riescono sempre a intenerirci, ma sta a noi essere coerenti e forti nel non cadere nella tentazione di cedere.
Il bambino sta tentando semplicemente e con tutte le armi che ha a disposizione, ossia snervare mamma e papà, ad imporre la sua volontà.
Ma se l’adulto cede è la fine. Ha perso non la battaglia, ma direttamente la guerra.
Ma cosa concedere e cosa no?
Ecco dunque il decalogo per aiutare i genitori a destreggiarsi con i baby-urlatori senza soccombere:
- Accordarsi per decidere cosa concedere e su cosa, invece, mostrarsi inflessibili. “E’ fondamentale mettere dei paletti”.
- Mostrarsi irremovibili sulle decisioni condivise: “Il piccolo ‘annusa’ la parte debole della coppia”.
- Non alterare il proprio comportamento in seguito agli strilli, altrimenti si rischia di perdere “non una battaglia, ma la guerra”.
- Non far capire che pianto e urla ci mettono in imbarazzo in pubblico: il piccolo li riserverà alle uscite per ottenere quello che vuole. “Meglio ignorare gli strepiti, parlare al bimbo con voce calma e tranquilla mostrandosi indifferenti. Se imbarazzati dagli sguardi altrui, meglio spiegare che si tratta solo di un capriccio piuttosto che cedere per farlo stare buono”.
- Cercare di rispettare il più possibile gli orari del bimbo, in particolare quelli della pappa e del sonno. In questo modo sarà più tranquillo e meno irritabile.
- Se a un anno vuole mangiare insieme agli adulti, è bene assecondarlo. Certo non potrà consumare tutte le stesse cose, ma assaggiare e guardare come si comportano i grandi può essere utile. Insomma, se fa i capricci per mangiare con mamma e papà, “si può tranquillamente concedere un posto a tavola”.
- Quando si mette a strillare è bene che tutti, “genitori, nonni e tata, abbiano lo stesso atteggiamento. E non facciamoci ingannare da pseudo-credenze come quella secondo cui i maschi non vanno fatti piangere, sennò gli esce l’ernia”.
- Non forzarlo ad andare a letto troppo presto o quando c’è troppa luce. “Meglio portarlo a nanna quando ha sonno, così dormire da solo nel lettino sara’ piu’ facile”, assicura.
- Non imporgli tutto, ma solo le cose fondamentali. “Insomma, è giusto concedere qualcosa al piccolo urlatore, ma e’ vietato farlo quando strilla: deve imparare a chiedere, specie se è già grandicello”.
- Non reagire mai con rabbia o frustrazione, ma mostrarsi calmi e imperturbabili. Questo, assicura il pediatra, disinnescherà l’arma ‘sonora’.